mercoledì, agosto 09, 2006

Sicurezza Subacquea (Parte 3)


Gestione delle omesse tappe di decompressione asintomatiche.

Voglio in questo post trattare un argomento molto spinoso. Quello che troverete scritto di seguito dovrà essere letto con molta attenzione ed approfondito con la lettura di ulteriori fonti o con discussioni ulteriori.
Il mio compito è di dare l’informazione iniziale, lo spunto che vi possa fare riflettere per tempo e farvi trovare pronti nell’evenienza. Il tutto per maturare con coscienza, la consapevolezza di agire in un modo piuttosto che in un altro nel caso di salto di tappa asintomatico.

Ma ripartiamo dalle basi. Fino dalla fine del corso Open, nei corsi ricreativi viene inculcato un concetto con chiarezza: "Se un subacqueo riemerge con sintomi di MDD o EGA, non deve essere ricompresso in acqua, ma devono essere attivate tutte le procedure di soccorso standard previste per il caso!".
Ma se un subacqueo ad esempio riemerge a causa di una pallonata, oppure per una qualunque ragione salta delle condizioni previste dalle tabelle in uso e non manifesta nessun sintomo particolare, come ci si deve comportare? Avete le idee chiare, di come comportarvi in questa particolare (ma molto comune condizione), tecnicamente definita come salto di tappa asintomatico (gestione di omessa tappa di decompressione asintomatica)?

Le didattiche ricreative non affrontano volutamente il problema, perché ritengono che il subacqueo ricreativo sia sostanzialmente incapace di intendere e volere. Quindi in nessun caso si affronta un problema che non può essere procedurizzato, ma che deve essere lasciato alla coscienza del subacqueo stesso o peggio all’intraprendenza del responsabile dell’immersione.

Immaginate che a causa di una pallonata, magari causata da una gestione errata della muta stagna, oppure dalla scarsa stabilità di una cima ci si trovi in superfice avendo saltato parecchi minuti di tappa. Come ci si deve comportare?.

Il computer suona, chiedendoci di immergerci nuovamente per riportarci alla profondità della tappa saltata, noi non sentiamo nessun sintomo particolare, ma la testa comincia a pensare che i sintomi potrebbero arrivare a breve ed allora la reimmersione ci spaventa. Inoltre ci viene in mente l’assioma (ricreativo) che avere sintomi da MDD o peggio EGA in immersione possa essere addirittura letale (e questo può essere vero).
Allora, cosa si deve fare? Si risale in barca e ci si affida ad una respirazione preventiva di ossigeno, oppure…cosa? Ma ancora il tarlo ci prende, se faccio la cosa giusta posso risolvere il problema, se invece sbaglio…? Qual’è la cosa giusta da fare?
Ebbene la risposta assoluta non esiste ed è per questo che non la troviamo sui manuali ricreativi, però una serie di condizioni possono guidarci a fare la giusta scelta, che in ogni caso dovrebbe essere fatta dal subacqueo stesso con una serie di dati oggettivi in mano. Perché se è vero che la risposta giusta non esiste è altrettando vero che agire nel modo opportuno può evitare l’insorgere di problemi e che fino a che siamo asintomatici (cioè che non presentiamo sintomi) siamo in tempo ad effettuarle (dopo esiste un'unica via, quella della camera iperbarica).
Solo noi possiamo decidere cosa fare in questo momento, nessuno ci può aiutare meglio della nostra consapevolezza nel sapere cosa è successo e solo noi dobbiamo avere le conoscenze sufficienti per decidere con freddezza la migliore soluzione.

Ripeto in ogni caso che se è presente un sintomo anche lieve di MDD o EGA occorre uscire dall’acqua il prima possibile e se decidiamo di reimmergerci dobbiamo abbandonare l’immersione appena anche il più fiebile sintomo si manifesta. Dobbiamo essere consapevoli che se si manifestassero in acqua sintomi seri, dovremmo riemergere immediatamente con l’opportuna assistenza.

Elenco i principali fattori che possono portare a decidere una reimmersione.

1) Non esistono sintomi di MDD ed EGA, e ci sentiamo nonostante l’errore effettuato sostanzialmente tranquilli.
2) Il nostro compagno è ancora immerso ed ha seguito il problema e risulterà pronto ad assisterti nella reimmersione.
3) Si stà respirando una miscela iperossigenata, oppure è presente ad non oltre 12 metri di profondità una stazione di decompressione con miscela iperossigenata.
4) Siamo vicini alla barca ed abbiamo avuto il tempo di avvisare le persone a bordo di quello che si sta facendo.
5) Siamo in condizione di portarci ad una profondità uguale o superiore a quella della tappa saltata entro 3 minuti.
6) Preferiamo affrontare subito il problema, invece che passare le prossime ore in ansia sulla barca in attesa che possa arrivare qualcosa.
7) Non è disponibile ossigeno puro a richiesta sulla barca di appoggio.

Elenco dei principali fattori che possono portare a decidere di non reimmergerci.

1) Siamo emersi per mancanza d’aria.
2) Siamo soli, od abbiamo paura di non ricevere una adeguata assistenza in acqua.
3) Preferiamo affrontare il problema fuori dall’acqua respirando ossigeno puro.
4) Accusiamo sintomi di MDD o EGA

Regole generali per gestire una omessa tappa di decompressione:

1) Essere sempre consapevoli se risulta disponibile ossigeno a 100%, oppure no.
2) Portarsi entro 3 (max 5 ) minuti ad una profondità uguale o superiore a quella della tappa saltata.
3) Cercare il supporto di uno o più subacquei che siano coscenti di quello che si stà facendo.
4) Se sono passati più di 3 minuti, rimanere in acqua per almeno il quadruplo del tempo al doppio della profondità della tappa saltata.
5) Se qualcuno del gruppo respira una miscela iperossigenata, fare in modo di respirarla.
6) Se si riesce a ritornare entro un minuto alla profondità della tappa saltata, continuare normalmente la decompressione indicata dal computer aumentando di qualche minuto rispetto alla tappa originale.

Personalmente sono molto sensibile al problema, in quanto mi è capitato un salto di tappa di 3 minuti, riemergendo da 12 metri in circa un minuto (a causa di un errore di riemersione nel blu, con muta stagna). Ero fuori curva di circa 3 minuti ed il computer mi chiedeva di reimmergermi. Ho pinneggiato per circa un minuto per riportarmi sotto la barca, ho avvisato quelli della barca e mi sono immerso nuovamente sulla catena dell’ancora. Ero solo, ma contavo di anticipare solo di poco il resto del gruppo che sarebbe dovuto arrivare. Mi sono portato a circa 8 metri, che era la massima profondità che mi faceva sentire tranquillo e lì sono rimasto per circa 10 minuti, ho fatto i tre minuti a 4 metri e poi sono risalito in barca ed ho respirato per circa 15 minuti ossigeno puro a richiesta. Alla sera una telefonata al DAN, mi confermava che avevo fatto sostanzialmente una procedura corretta di omessa tappa di decompressione, ma all’epoca non avevo letto nulla a riguardo. Quindi non sapevo se avevo agito correttamente, oppure no esattamente come potrebbe capitare a voi. Informatevi e fatevi la vostra idea, in modo che nell'evenienza siate voi a decidere cosa fare, non il vostro computer, oppure la vostra guida che potrebbe non essere sufficentemente competente da fare la giusta scelta (che di solito è quella che porta e ridurre le responsabilità personali).
A parte le regole semplicistiche date a puro livello di indicazione, il manuale US navy fornisce varie tabelle, in funzione del livello di assistenza previsto e del tempo passato per ritornare alla profondità di tappa che portano ad indicare di fare varie tappe da 12m fino a 3 metri per un tempo circa quadruplo del tempo della tappa omessa.

Fonti di approfondimento: US Navy Diving Manual, Mixed Gas Diving (Bret Gilliam), Deep Diving (Bret Gilliam).

domenica, luglio 30, 2006

I pericolosi abitanti del mare

Il mare, immergersi per scoprire le bellezze dei fondali, cercare forme di vita particolari, colori variopinti e vivaci, a volte indefinibili, fotografare questi affascinanti abitanti in un mondo parallelo o meglio ...sotto di noi!
Ma attenzione ad alcuni di loro, pericolosi di solito solo se distirbati, evitiamo di avvicinarsi troppo!!

La tracina
Comunemente chiamata anche «raganella», è il pesce più velenoso del Mediterraneo. La puntura provoca un dolore urente che aumenta rapidamente, di durata variabile da poche decine di minuti fino a 24 ore, talvolta così forte da poter causare la perdita di conoscenza.
La zona colpita appare inizialmente biancastra, divenendo rapidamente rossa e tumefatta, con un gonfiore che poi si estende alle parti vicine. Talvolta si verificano anche difficoltà di respirazione, febbre, mal di testa, nausea e vomito; nei casi più gravi si hanno anche convulsioni. Dato che la tossina che viene inoculata è termolabile, il trattamento richiede la disinfezione della ferita e l'immersione della parte colpita in acqua salata calda, per almeno due ore (possibilmente almeno un'ora). In alcuni casi più gravi può essere necessario un controllo medico e una terapia antibiotica. Si consiglia sempre la profilassi antitetanica.

Lo scorfano
La puntura degli aculei di questo pesce solitamente è meno dolorosa di quella della tracina; il dolore insorge dopo qualche minuto e può durare diverse ore. Le conseguenze sono solitamente meno gravi, anche se si possono avere cefalea, nausea e vomito, shock anafilattico. Il trattamento è identico a quello delle tracine. La puntura dello scorfano, in particolare, produce di solito una necrosi dei tessuti circostanti la zona d'inoculazione, che si può combattere efficacemente con una tempestiva terapia antibiotica.

Il pesce cobra
In caso di puntura si avverte un forte dolore nella parte colpita con evidente ferita sanguinante. I sintomi, oltre al dolore, possono essere nausea, vomito, shock, morte occasionale. Primo soccorso: trattamento come per lo scorfano.

Il trigone (ferraccia)
Il veleno iniettato da questo animale, che ha l'aculeo alla base della coda, procura dolori violenti e complicazioni che talvolta possono sfociare in situazioni molto gravi: si può avere infatti sudorazione, tachicardia, ipotensione, vomito, diarrea, fino a giungere in rari casi alla paralisi muscolare con morte.
La ferita si può complicare con suppurazione ed eventuale cancrena. Quindi, occorre sempre l'intervento del medico. Il trattamento immediato è come per la tracina.

Gli squali
Gli squali si trovano in tutti i mari del mondo e talvolta risalgono le foci dei fiumi. Sono guidati dall'odore del cibo, dall'udito e dalla vista. Si spostano generalmente in branchi e mangiano a ogni ora del giorno e della notte. Lo squalo più pericoloso, nella classificazione delle 250 specie studiate fino a oggi, è lo squalo bianco (Carcharodon carcharias), che vive anche nel Mediterraneo, la cui lunghezza si aggira fra i 10 e i 12 metri e il peso intorno alle 12 tonnellate; è di una voracità senza limiti e addenta anche le tartarughe marine.
I nemici degli squali sono il pesce istrice, il calamaro gigante, l'alligatore degli estuari, l'orca, il delfino e, in un certo senso, il cacciatore subacqueo.
È opportuno evitare di fare il bagno lontano dalla costa o comunque di rimanere per lunghi periodi in superficie, anche con piccoli canotti con le gambe e le braccia che penzolano in acqua; inoltre è bene cercare di nuotare con movimenti ordinati, con bracciate lente7 vigorose e uniformi; i movimenti disordinati nel nuoto sono infatti un richiamo per gli squali.
Trovandosi in acqua in presenza di squali si deve cercare di fare dei finti attacchi, oppure muggire sotto la superfide dell'acqua o fare degli spostamenti laterali quando uno di essi attacca. Infatti gli squali una volta scattati, sono incapaci di mutare traiettoria, anche se il bersaglio si è spostato all'improvviso.
Se vi è un ferito in acqua, le persone vicine dovranno cercare di fare un circolo intorno a lui perché per la sua perdita di sangue, è il soggetto preso di mira dagli squali.
Alcune consigli sono rivolti specialmente a quei subacquei che s'immergono in mari frequentati da squali: non offrire cibo quando si è in immersione ed evitare branchi numerosi, dar da mangiare al branco è un gioco che a volte per alcuni subacquei è diventato pericoloso; i pescatori subacquei evitino di portarsi dietro pesci feriti o sanguinanti; infine, non infastidire gli squali e non andare mai in acqua da soli.
Le ferite prodotte dal morso degli squali (che non produce dolore) possono provocare grosse mutilazioni con gravi emorragie anche mortali. I primi soccorsi saranno rivolti al controllo dell'emorragia applicando bendaggi e, se è possibile, un laccio emostatico. Il ferito andrà trasportato al più presto in un luogo dove potrà essere sottoposto a cure mediche.

Le meduse
Le meduse dei nostri mari non sono pericolose come altre presenti in zone lontanissime, per esempio nei mari tropicali, ma sono pur sempre causa di fastidio, come arrossamenti, dolori e vesciche.
È sempre bene evitare di fare il bagno dove esse sono presenti; soprattutto, anche se vengono appena sfiorate, bisogna evitare di toccarsi poi gli occhi.
Gli arrossamenti e le vesciche provocate dal contatto con i tentacoli delle meduse si curano con applicazioni di soluzioni diluite di ammoniaca, impacchi di acqua salata calda, alcol, pomate antistaminiche o corticosteroidee, che inattivano il veleno dei tentacoli.
Nel caso che frammenti di tentacoli restino attaccati alla cute, vanno rimossi facendo attenzione a non schiacciarli per non spremere altro veleno; bisogna evitare l'uso di acqua dolce, che favorirebbe la fuoriuscita del veleno dai tentacoli. Solo in caso di contatto con il viso o con gli occhi, bisogna procedere il più precocemente possibile a un abbondante lavaggio con acqua dolce fresca o con prodotti specifici per il lavaggio oculare reperibili in farmacia

Attinie e cerianti
Le attinie e i cerianti vivono attaccati agli scogli. Conseguenze e rimedi: come per la medusa.

Murena
E un pesce serpentiforme, considerato pericoloso e velenoso a causa del suo aspetto aggressivo. In realtà è molto timido e vive abitualmente riparato in tane costituite da spaccature degli scogli. Non attacca, ma morde solo per difesa se si sente minacciato da vicino.
Il morso, a causa dei numerosi denti robusti e aguzzi e della forza delle mascelle, è molto doloroso; contrariamente a quanto si crede non è velenoso, ma s'infetta molto facilmente. E pertanto fondamentale procedere a un'immediata disinfezione della ferita, seguita da terapia antibiotica e profilassi antitetanica sotto controllo medico.

I ricci di mare
Vivono sugli scogli e presentano aculei molto acuminati che si spezzano facilmente. Non iniettano veleno, ma la puntura è dolorosa e s'infetta facilmente.
Bisogna procedere a un'accurata disinfezione della ferita e a una rimozione degli aculei con una pinzetta sterilizzata. Può essere utile la terapia antibiotica e la profilassi antitetanica.

Il vermocane (Hermodice carunculata)
E' un verme che può raggiungere la lunghezza di trenta centimetri, munito di setole fortemente urticanti. Diffuso nei mari tropicali, è presente in Mediterraneo nei mari della Sicilia e in Egeo. Il contatto con queste setole, che penetrano facilmente nella cute, provoca dolorose irritazioni.
Bisogna trattare la parte colpita con pomate antistaminiche o pomate cortisoniche. Bisognerà provvedere anche all'estrazione delle setole penetrate nella cute, utilizzando anche nastri adesivi.

I coralli
Le lesioni da corallo possono provocare serie infezioni se non s'interviene in maniera adeguata. Bisogna pulire bene la ferita con acqua pulita. Eliminare corpi estranei con una soluzione antisettica: applicare una pomata antibiotica e disinfettare con Betadine o tintura di iodio.

La torpedine
Caratteristica di questi animali è la capacità di produrre scariche elettriche. Toccandola si può rimanere colpiti da scariche elettriche anche di forte intensità.


I testi utilizzati sono tratti da:
P. Cardini, Manuale della Sicurezza in mare e nelle acque interne.
Editoriale Olimpia, 2000. www.edolimpia.it


Ale (ìLuce)

Sicurezza Subacquea - (Parte 2)

Nell’ultima parte di questa rubrica abbiamo parlato di utilizzare la propria sensibilità, come primo strumento da leggere per fare immersioni sicure.

Questo è un concetto fondamentale da seguire.

Occorre capire che ogni immersione, può essere diversa da quella precedente. Alcuni giorni, in modo giustificato (oppure no) possiamo essere in condizione di non effettuare in sicurezza un’immersione che normalmente non ci creerebbe problemi particolari.

Dobbiamo avere il coraggio di capirlo e comportarci di conseguenza.



Quindi le nostre sensazioni come primo strumento, ma questo è un concetto sempre valido?

Purtroppo no, alcuni problemi esulano dal campo (diciamo) visivo della nostra sensibilità, in particolare per le immersioni ripetitive e ripetitive in giornate consecutive. Leggendo alcuni dati statistici che vanno per la maggiore, si può leggere che la subacquea è uno sport pericoloso come il bowling, (cosa che io ritengo una stronzata al livello del chilo di pesata ogni dieci del subacqueo), oppure che quando un subacqueo risale con problemi di MDD o EGA senza avere violato le curve di sicurezza ci si trova davanti a casi mistici di PDD ingiustificate.
Bene, io penso che ogni subacqueo sà in cuor suo quando ha superato i suoi limiti ( e non quelli che gli indica il computer) e se i problemi da decompressione possono essere ingiustificati secondo i criteri generali, non lo sono affatto spesso nel caso specifico.
Andando a vedere i casi documentati di MDD, si scopre che spesso nelle vacanze subacquee al quarto o quinto giorno di immersione ripetitiva a giorni consecutivi ci si trova in grave rischio di MDD. Anche se le immersioni non sono state profonde, magari se il Venerdì di una vacanza subaquea si riesce dall’acqua con problemi, si ha il coraggio di parlare di MDD ingiustificata.
In questi casi la nostra sensibilità non ci può essere di aiuto, perché dopo una nottata il nostro cervello è totalmente resettato rispetto all’esperienza subacquea del giorno precedente, il nostro azoto accumulato, però è ancora presente nei tessuti lenti del nostro corpo. In questi casi, ci dovrebbe essere di aiuto il nostro computer, ma spesso non è sufficiente.
Le statistiche indicano che se quest’ultimi possono dare indicazioni valide, nel caso di poche immersioni ripetitive, nel caso di molti giorni di ripetitive, si rischia veramente tanto.
Spaccate quindi la vostra vacanza subacquea, in due parti rinunciando alle immersioni per un giorno, avrete fatto sicuramente un passo sicuro verso la sicurezza.
Attenti anche al No fly time, ma anche qui sappiate che il tempo che vi indica il computer è una scelta di massima e non un dato affidabile. La prima variabile che incide sui voli (che è chiaramente sconosciuta al vostro computer) è il sistema di pressurizzazione dell’aereo che prenderete. Se tutti gli aerei pressurizzano a regime (più o meno alla stessa quota), tra di loro ci sono differenze notevoli di velocità con cui stabilizzano la pressione. Per l’MDD la velocità, cioè i gradienti di pressione, sono ancora più importanti delle pressioni assolute, in quanto favoriscono l’aggregazione di bolle silenti. Quindi se avete fatto molte immersioni, fatevi dare la curva di pressurizzazione dell’aereo che prenderete, oppure (ipotesi più praticabile) considerate veramente il No Fly time come il minimo tempo da attendere e magari aspettate qualche ora in più.
Tutto questo giro di parole per dirvi che nel caso di immersioni ripetitive in giorni consecutivi, non fidatevi della vostra esperienza e del vostro grado di allenamento ed addirittura del vostro computer, ma siate iperprotettivi a prescindere. Sono queste le uniche regole che vi eviteranno con buona probabilità patologie da decompressione.

martedì, giugno 06, 2006

Sicurezza Subacquea - (Parte 1)

Valutazione ed accettazione del proprio livello di rischio

Abbiamo visto nell’introduzione a questa rubrica che tutti dobbiamo accettare un certo grado di rischio in ogni cosa che facciamo. Ognuno di noi nel momento in cui si trova a dover affrontare una situazione potenzialmente rischiosa, si comporta funzionalmente a due principali componenti della sua personalità, una irrazionale e l’altra razionale.
La prima,quella irrazionale è la sua intraprendenza istintiva. Ognuno di noi è più o meno intrepido e coraggioso di un altro. A prescindere dal sapere gestire o meno una situazione rischiosa, una parte di noi ci spinge ad affrontarla, oppure ad evitarla. La seconda parte è quella razionale, che media la prima e nasce dall’esperienza, dalla valutazione razionale del rischio. Ognuna di queste due parti è fondamentale per la nostra sicurezza, si può essere esperti, ma la mancanza di freddezza in alcuni momenti di emergenza può essere letale, viceversa agire con con esperienza evita di imbattersi in situazioni potenzialmente pericolose ed inoltre l’esperienza induce freddezza e controllo a persone instintivamente pavide.
Ma quando una situazione diventa pericolosa?
Questo dipende spesso più che dalla situazione in se e per se, dalla persona e dal modo in cui la stessa decide di affrontarla.
La prima domanda che si deve fare un subacqueo è capire quanto si senta sicuro durante le sue immersioni.

Il primo strumento di misura non è il computer od il manometro, ma è la propria sensibilità, la propria consapevolezza nel sentirsi a proprio agio o meno nel corso di un’immersione.Anche in una immersione a pochi metri di profondità il solo fatto di sentirsi a disagio, in affanno, infreddolito significa pericolo. Anche se il manometro indica 180Bar ed il computer 99 minuti alla Deco. Ogni volta che succede questo, stiamo rischiando e se ne siamo consapevoli e coscienti possiamo lavorare affinché ciò non accada, oppure accettarlo come un livello di rischio personale a cui si sia disposti ad esporsi.
Spesso non si lavora per migliorare le proprie performance e contemporaneamete si cerca di rimuovere mentalmente lo spauracchio dell’incidende come improbabile per la propria persona.
Tutte e due attività alquanto pericolose, ma praticatissime.
E’ la nostra componente istintiva che ci porta a comportarci cosi.
Il primo passo che voglio fare è invitare ogni lettore ad una riflessione.
Pensare ad ogni volta che si sia sentito non a posto, ad ogni volta che abbia perso attenzione verso il proprio compagno, oppure ancora, magari spingendosi in un grotta od in un relitto abbia pensato di essere andato oltre.
Ogni volta che con poca aria in bombola, abbia pensato di cercare di evitare di dichiararlo subito per non essere quello che accorcia l’immersione del gruppo. Insomma porre attenzione ad ogni dettaglio in cui si abbia violato delle banali regole di sicurezza e che appena tornato in superficie abbia rimosso mentalmente.
Questo è il primo passo verso la sicurezza, la consapevolezza dei propri limiti ci porta a migliorarci. Il pensare questa volta è andata, ci può portare a ritrovarci in una situazione analoga e magari nella seconda occasione potrebbe andare peggio.

I limiti possono anche essere nelle attrezzature sulle quali non vengono fatte regolari manutenzioni, in attesa che problema arrivi in acqua, si applica cioè lo stesso principio che non ci fa affrontare i problemi per tempo sulla nostra persona.
Il passaggio a migliorarci può essere lungo, ma deve essere innanzitutto visto per poter essere raggiunto. Il grado di sicurezza può inoltre essere notevolmente aumentato utilizzando le miscele opportune anche nelle immersioni ricreative, purchè non si arrivi a pensare di essere sicuri per il solo e semplice fatto di andare in acqua con il Nitrox od il Trimix.
Impariamo quindi a limitare la nostra componente istintiva con quella riflessiva, dando il giusto peso a tutte quelle mancanze che normalmente facciamo finta di non vedere.

Sia ben chiaro, io parlo di queste cose, non come subacqueo immune da questi difetti, anzi ne sono appunto maestro. Ho però l’umiltà di riconoscerli e cercare di lavorare per ridurli, umiltà che non è sicuramente da tutti.

Iniziamo a confrontare il nostro livello di sicurezza percepito ad esempio in una immersione a 20metri, con una a 40 e chiediamoci in tutta onestà se ci sentiamo sicuri allo stesso modo. Analizziamo il nostro rapporto che il computer che ci indica il fuori curva o con la bombola che inesorabilmente si stà scaricando. Inizieremo a fare questo dal prossimo articolo.

Alcuni di voi leggendo questi articoli, penseranno che stia parlando di aria fritta, altri più onesti con se stessi si saranno riconosciuti in alcune delle mancanze che ho descritto. Avranno fatto quindi il primo passo verso delle immersioni più sicure.

venerdì, maggio 26, 2006

La Sicurezza Subacquea (introduzione)


Avete mai pensato, veramente, a che cosa sia la sicurezza?
Questo è un termine relativo, più che mai relativo .
Si può essere veramente sicuri? Se sì, allora dove, come,…quando?
Si può attraversare la strada, pedalare tranquilli in biciletta, andare a cavallo oppure fare un’immersione, in totale sicurezza?
Direi proprio di no!
La sicurezza totale non esiste è un concetto astratto, un compromesso che dobbiamo valutare, accettare e sfidare ogni volta che vogliamo osare.
Ma dov’è il limite tra l’osare e semplicemente … il fare?
Qual’è la soglia che non dobbiamo superare per essere sicuri (cioè per agire in sicurezza).
Si può arrivare a dare una risposta abbastanza precisa a questa domanda per ogni attività ed in particolare per la subacquea. Non è una risposta uguale per tutti e non è certo così semplice come viene affrontata dalle didattiche ricreative.
Si possono fare immersioni impegnative senza osare, si può soddisfare la propria sete di emozioni, appagare i propri sensi, senza azzardare.
Affronterò questi temi che sono vitali per tutti noi, in un modo che sono sicuro vi incuriosirerà, non tanto per i contenuti fondamentali ormai triti e ritriti, ma per la filosofia del come utilizzarli,che potrebbe essere interpretata diversamente da ognuno di noi.
Sicuramente la sicurezza non è semplicemente essere in curva a meno di 40m profondità.
Sicurezza significa pianificazione, controllo, consapevolezza, allenamento, tecnica, attrezzatura, buon senso, collaborazione …. e sicuramente tante e tante altre cose tutte da affrontare una per una.
Non pretendo di avere ragione, non ho l’oro in bocca, pretendo di provocare delle vostre reazioni che spero non siano scontate, come non saranno scontati i miei post.
Purtroppo parlerò di cose semplici, pratiche e concrete che quasi sempre vengono disattese, sia dal sottoscritto che dai miei colleghi (e probabilmente anche da voi), sia per nostra negligenza sia perché il mercato ci offre degli standard di sicurezza precotti, senza insegnarci a stabilire se e quanto questi si adattino a noi (e non parlo semplicemente di età, condizione fisica, ecc..). Giustamente si vuole e si deve standardizzare, per avere una linea di riferimento a cui adeguarsi, ma questo deve essere un punto di partenza non di arrivo.Questa rubrica ambisce a fare riflettere se questi standard sono adeguati alla propria persona e se la risposta è negativa, porvi rimedio in qualche modo.Scopriremo che anche se questi metodi ci sono e sono altrettanto standardizzati, non è affatto facile applicarli. Questo però è un problema del mercato della subacquea e della cultura di base della sicurezza.
Insomma, non facciamo finta che non esista, …il diavoletto che è in noi c'è e deve essere controllato, ma senza necessariamente tappargli la bocca se no, …veramente, le pareti più belle (come quelle della vignetta) non le vedremo mai!


La parte in arancione è nata da un commento di Ale(Gavriol).

Ringrazio ìLuce che mi ha fornito la vignetta giusta per la mia introduzione.